Altro

E così via

(A Boris)

1. Aprendo la porta troveranno
una camera senza pareti
ciottoli d’argilla con spazzolino elettrico rotto
alcune biscrome in polvere sotto il divano
lacrime in un secchio
batuffoli di lana d’agnello
un algoritmo non euclideo
lenzuola strappate con apostrofi messi per caso
vento sulla guancia riposta nel primo cassetto
Poi nani
una numerosità di nani, docimologia della macellaia
una camicia bianca intonsa
neve e canditi
un volto mai scritto
un nome mai disegnato
un nome mai disegnato
e così via.

2.  Essersi nel dono
metaforma del silenzio

Mangiare il brodo con la forchetta
e per digerire arance con le lamette dentro

Abissale e mai udito
Essersi nel sentire
di coscienze che sentono niente

muta forma del silenzio

Radice di frumento e gioia
occhi di carbone e brina

non pianto
non riso
non amore
non odio
non speranza
non attesa

Essersi nella paura fra l'asfissia e un briciolo di respiro
Essersi nel sapersi
musica nelle pause
3. La parola è stanca
e l’azione impoverita

Ramo appeso senza forza di gravità
la dolcezza stenta sorrisi
una mania retrò e se si pensa mania si pensa follia
si pensa il povero nella sua vasca
La speranza ha appiattito la terra
si nasconde intimidita dietro il profumo di pulito degli asciugamani degli ospiti

Chi lo ha detto che all’alba il cielo non sia fuso in una stanza
il baffo di un gatto si allunga fin sotto la porta spiando
l’interlocuzione fra il giallo, il rosso ed il rosa

La parola è stanca, pesa l’insolvenza
tanti soldatini di carta
ancora al sacrificio
Stipato il rosa nell’imbalsamatore
i soldatini di paglia respirano la resistenza

Il contrattacco è debole
la speranza calunnia il cielo
Furori in metastasi
La parola ha già chiuso l’alba in un tramonto

Le graticole dei monaci
incendiano la luce del mare salutano
il giorno
anello dopo anello un pennello
4. Dio si strugge nell’inconsolabile
Le mani strofinano ancora pietre
La tenerezza stravolge il suo volo 
La comprensione sventra una scatola bianca e la ripone nella rugosità della saggezza 
5. Con il tempo si comprende
cedere è un gesto dell’amarsi 
anche se non so cosa sia l’amore
non ne ho le parole.
Cedere alla pioggia per un bagno di verità
anche se non so cosa sia la verità
non ne ho le parole.
Cedere al cedimento per dire me sotto la pioggia 
anche se non so cosa sia me
non ne ho le parole.
La poesia non so cosa sia
non ne ho le parole.
Ci sono cose intoccabili
il sacro nel non saper dire
qualcosa di grottesco e derisorio nella pioggia che mi infradicia.
La musica si rompe quando all’alba la parola si spalanca in una cornice gelida ad oltranza.
Questa presunzione di scrivere la poesia.
La poesia si usa
come tutte le cose belle.
Il sacro è nella devozione, per tanta grazia.

6. Ho mangiato un fascio di luce
declinando il silenzio in ogni sua voce
particella dopo particella
irradiazione senza aggettivo o sostantivo
Visione e dolore
e gioia e pulviscolo
e gioia e particella dopo particella
ho mangiato un fascio di luce
il fiore declina la sua corolla, la luce mi affama e mi salva.
7. Acquitrini variopinti affogati in luminescenze antiche disciolte come ombra che si tenta di afferrare. Accolsero la rivolta ed il passante e il tacco fu piantato come primo picchetto sul limite della ferraglia armeggiata a mani nude prima del sogno ad un passo dal tramonto. Qualcosa di più leggero, sopraggiungeva con il vento fra i vitigni e la polvere un velo stendeva sugli specchi. Nei gesti minuti rapprendono azioni compiute. Randagi prima di ripartire mettevano tutto a posto - come si sarebbe fatto con una cucina o un alloggio - la terra battuta dal riposo dei loro sogni. Fecondità dell'inesperienza. Di ciò che il popolo chiamava lotta e il raggio di sole vermiglia chiarezza ad un tanto da qualcosa di migliore. 
Per dire sole e smerigliatura. Solo più specifica. Più compiuta.
8. La medusa non fa male
se l’urto non rintocca sulla trasparenza
antica, 

del mare.

Inutile è fermare il tempo
allo stesso modo, misurarlo
allo stesso modo, il vento
armeggiando intesse

amore con un dente. 
9. Conficcata nel silenzio era la musica, fibra sottile in moto perpetuo e circolare
si sfibra il cotone, si sfiora l'esistere: il vento è sempre più forte dell'attrito
Amore di carne nel coraggio del dolore e la sopravvivenza, la fattezza del sopravvissuto, nella gratitudine alla violenza e all'ingiustizia: anche nell’acqua avvelenata può germogliare un fiore

Diventa complicato quando l'azione si incaglia fra la parola e il gesto, lo specchio perverso perde la sua vera sostanza. Complicato e (forse) così finisce lo slancio poetico, il verso altrove perfetto, metafisico e non esiste
o al posto dei critici:- la tenerezza

La parola si lascia afferrare
solo quando di respiro esausto
viene lasciata via cadente, rovinante
Tuttavia nel custodire una dentiera
bisogna stare attenti:- costano molto

La sottrazione (allora) confluisce nel gemito
sottrarre decisamente per quell'incontrovertibile logica del silenzio
La parola rovina nell'abbandono:- una lacrima è un alfabetiere
e scompare nell'evaporazione dell'occhio

Sul margine del senza, respirare
10. I bambini vengono tenuti
lontani, con il morto si dimentica di dare acqua alle piante
Arrivano le donne, con le mani piene
e gli occhi pieni
loro portano anche il ventre 
nelle ossa umili 

Il verde della mentuccia 
diventa rosso vitigno
sulle terrazze imbevute
piccola, la foglia 
increspa
luce sopra luce
ostentazione contro miseria

La legna arde nella stufa
fuori dalla forma
un po’ più in là dei convenevoli
quello che volevo scrivere l’ho dimenticato sul fiore di un olivo

e che lì abbia degna sepoltura

(22.01.2022)
11. Mi hanno fatto una domanda difficile, ho preso un caffè, letto una poesia d'amore che non sa di esserlo, la petunia sopravvive al trenta di novembre e non solo per il cambiamento climatico. 
Delle altre, molte sono morte mesi fa, quando dovevano morire. Una è stata capace di continuare a fiorire da un ramo secco per qualche altra settimana.
Questa di ora è sopravvissuta alla morte. E tanta altra morte deve ancora venire. La guardo con una meraviglia carica di rabbia, siamo così belle piene mai inutili piene piene di nulla.
12. Lontano dalla conoscenza
La pudicizia è la forma più sconcia della natura
13. La parola non sa tornare a casa:- spersa la fioritura, spiegata l’ombra, la fragilità del gesto cala sulla slabbratura. L’esattezza cade cosa felice sulla                                                                    metà dell’ora
Brandello su budello lungo il mattonato bianco si intonano stornelli
la mano sta, tentenna sulla farfalla che tentenna
lo stridolio del becco di un uccello gratta il rame di una campana 
in fondo al miracolo l’acqua allaga in parte anche i rifiuti 
solo in parte per la metà di un abbraccio, di una sigaretta, la metà di una nota rotta
sul fondo del bicchiere si arena una preghiera
in fondo alla preghiera si incaglia un aquilone
felice senza saperlo seduto sull’abbaiare della guerra 


14. Stare con i sassi 
con gli oggetti fermi
con la storia che non lascia segni
Accarezzare il solco
Ascoltare la pietra

Meravigliarsi del ritmo dell’immobile
15. Conosciuto il silenzio e la parola muta,
non potendo mancare alla fertilità dell'abisso e della farfalla
per contrapposizione
per garza e unguento, scrivere
in solitudine libertaria, senza
(o) (del) compiacimento.
Eppure, il tutto effimero della passione umana potrebbe rovinare sul cemento
nel possedere o forse esigendo quella verbosità della terra e dell'ineludibile
forzatura della gioia e della verità.
E un carteggio millimetrico, forse
ma non è detto
condurrebbe
alla metricità di chi non sa mentirsi e nella goffaggine di una emozione
annaspa ma sa tenersi bene a galla.

I poeti che si intendono tali, nudi sarebbero vestiti di silenzio
se la prendono con la punteggiatura e con lo spazio fra una lettera ed un'altra
invocano l'andare a capo
come capo o coda o testa di un animale strano.
Non conosco la regola, avendone terrore e disprezzo
so che nella mancanza, segna e si conforma la distribuzione della diversità
e nello scrivere si disperde la lacrima e la paura
e il vetro rotto riflette l'enormità del cielo
e c'e' sempre uno scarto fra il piede sull'asfalto
il piede nudo nella terra arsa e riarsa
il millimetro che separa il piede dalla terra, la terra dal volo
l'esprimibile dal non esprimibile
il comune dal non comune
oh! quante parole e quante forze inerti per non sciupare l'emergere della sostanza
effimera e guanto
inutile e presa
presa stretta sugli abissi dimenticati
forgiatura del vanto e della vanità
in questa terribile impresa 
qui e solo qui sulla soglia dello sfacelo
sulla polvere di gesso
sui contrappunti di schiuma sporca che imbellettano la risacca
e forse è proprio sulla voracità dell'umano
sul capitale che infetta e danneggia
sulla distruzione
(della) monetizzazione dell'anima
forse qui su questo mattone improprio ed imperfetto governa il timore
e quell'asola sul silenzio
quante
quante volte è stata chiusa
e rotta e rattoppata
usura strana
strana nella qualsivoglia istanza della finestra che affaccia e sporge
ecco! 

Nella scrittura è l'unico luogo in cui non ho paura
e posso rivestire di gioia pareti altrui
e antri abbandonati
così solo per libertà e lotta
per quel fatto strano che capita a certi destini
a certe donne che raccolgono capelli per farne unguenti
e tutto è troppo altro
non più addizione
non sottrazione
Altro è l'albero che regala alla caduta il ramo
e l'ombra in giornate di torrenti che rompono la forza di gravità
e si gettano sulla comprensione
e ottundono la musica
e deragliano il deragliamento

Oh! quanta arte incompiuta nel deragliamento, ricerca e circostanza e solco mai battuto
E basta.
16. Il freddo sguaina acuto sulla fronte
non c’è molto da dire
il freddo profuma di camino
la fuliggine è da qualche parte
il mattone è umido e le foglie grandi

di quanto in quanto un tappeto di ossature friabili
un calpestio con punti fermi di rottura nell’udito
qualche viandante lento, una donna giovane di poco slanciata

l’aria profuma di camino e ai morti
andranno gli alberi, alla fertilità i deliri
ripercussioni nobili fermentano da qualche parte
senza molto da dire

17. Intenzione della sillaba scritta
ho scritto me tante di quelle volte
battuta e ribattuta che mi scoppia
d’esistere senza sapermi

Tante volte da essermi dimenticata
andando avanti nel tempo
nella trasfigurazione dello spazio
o nell’interstizio fra l’istante e l’interstizio
fra la molecola di acqua e quella di idrogeno

Cucita e spostata la dimenticanza
costruendo falle con frasi di tre parole
e folle di punti per spostare
dalla Corteccia alla stanza
dalla coscienza alla pre-coscienza
dalla parola al pensiero pre-simbolico
nessun inconscio,
processi impliciti, memorie procedurali

Prima del prima che non può essere un poi
nessuno sa domani
non intenderò più la mia calligrafia
in tanti dissero e mi dissero
molti credettero nel dirmi
non di parole si cura uno storpio
con tante parole di può storpiare
credettero e crederanno
gli esegeti del tempo
la dimora nella sillaba scritta
senza mai dimorare in nulla

La coniugazione del verbo avrebbe
potuto essere congiunzione

Ho dimenticato la punteggiatura
per frammentare il frammento
potrei continuare nell’infinito
attraversandomi con l’infinito silenzio
ma ogni tanto bisogna pur staccarsi
da questo non sapermi che diventa scrittura
18. Argomento:- cose di libertà danneggiate, di vite sfregiate sui sassi
Discussione:- un lampo illumina il vetro e la pioggia con il sole di un sole sfumato di rosso
spesso porpora e fra certi palazzi un arancio sfumato di mirra. 
Essere acqua e neuroni anime biochimiche e molecolari
attimi come inneschi di un potenziale d'azione
fascicoli neurobiologici in fondo all'oceano plasticità sinaptica rimodellamento
Essere cervelli plastici e imparare secondo una macro volontà direzionata all'azione
e micro volontà implicite spinte innate alla modificazione.
Questioni difficili da arrangiare
così sulla macchina da cucire 
adorazione devozione
quel grosso pedale per farla funzionare la scatoletta dei rocchetti e dei ditali
l'odore di legno vecchio fra la tenerezza e l'ago per i materassi.

Argomento:- cose di libertà mal pagate a volte semplicemente danneggiate di dita fregate sui sassi
Discussione:- essere silenzio dopo silenzio dopo silenzio dopo silenzio
tirare giù il cielo con la punta di un ombrello
e passano gli uccelli
e passa il trombone
passa anche una filastrocca fra questioni complicate
donne che non piangono, bambine che non sentono. 
La ginestra è sempre la prima a fiorire solo dopo il mandorlo
questioni così di biochimica e complicanze
qualche lucciola
il gatto della signora del piano di sopra con la faccia mangiata dalla malattia
cenere e sigarette
e un mezzo film
un mezzo filtro
un mezzo e la complessità di essere un essere.
19. Ci sono posture inarcate 
verso il fare poetico dello stare

sul mondo
sulla superficie liscia di un mattone
sul mare scuoiato dal vento
su una mensola, in uno scaffale.

Costruzioni, chiodini, colori, lettere grandi, numeri grandi, profumi, farfalle, cartoncini e quaderni
la prima volta a scuola ha già dieci anni.

Non parla, non gioca, non sa. 
Cosa sono gli amici, un temperamatite e una gomma.

Lo stare del cristallo sulla mensola:- un modo. 
20. Sotto l'ombrello 
una madre abbraccia sua figlia
o forse sono due amanti e una di statura piccina
o forse due sorelle
o forse una è una zia
Sotto la pioggia
sotto il lampione
sotto l'ombrello
due donne si abbracciano
21. C'è il vento stasera.
Amato elemento, mio compagno fedele, mio invisibile, mio possesso del nulla che sfiora le dita mentre lo perdo. 
Nel buco dell'ossatura, brina che piega un fiore verso il profumo della terra umida
in quel gesto andato a finire non so dove

Nel mai vivo, nel sempre muoio, nel vuoto ridipingo pareti fattesi polvere e cementi di pensieri in frantumi.
Quanto amore nella rivolta, quanto dolore nelle pietruzze d'asfalto esplose una ad una
Eppure girandole, eppure violette e lillà, orchidee selvatiche e piccole piccole schegge di lamenti mai sussurrati.
Vorrei due occhi sui quali poggiare i miei
Nel principio di tutte le cose sfilarmi i pensieri di bocca, tacendo, senza una parola, senza un sussurro, senza e senza
Sfilarmi 
E li sopirmi, occhio su occhio per un attimo invisibile che non esiste
Solo per essere, malinconia.
22. Scrivere in una casella di testo. Un modo pop. O solo sul profumo di un lenzuolo steso al sole. O solo la musica che non sento. (magari) parlare da sola. Un modo per. Un posto sulla terra ferma. (magari) prima fu il fuscello, poi qualcosa e un po' di più, tipo un tramonto o un ramo. Magari un po' tutto. Un po' niente. Un po' e basta. Magari perché Joice stava sempre seduta di fronte a Breton. Magari immagini. Magari silenzi. Magari frame.
 Frame di maglie semplici e contrapposte. Oltre. Il lobo frontale e l’intenzione.
 Oltre. Tutte le cose prese e guastate e guastate.
C'è brillare e brillare e maggiore è il rischio maggiore la propaganda del silenzio sul tutto.
Magari. Mi faccio coraggio. Prendo una macchina fotografica. Vado a girare una signora.
 La giro con tutto il peso di un canovaccio di coraggio che a volte pesa a volte di più. Può darsi magari questo coraggio. Queste mani che tramano.
 Per una storia di polvere in un'altra polvere in un'altra polvere ancora e non si finisce mai di morire di altra sabbia.
Magari. Così per non denigrarla. Così con il sorriso sereno su un cielo sereno per non rompere il sereno continuare a sorridere sul sereno. 
Magari. Così. Chiudere questioni per lasciarle un poco poco aperte. Così sulla bellezza complicata di un cielo placido sopra un'altra storia minuta e un silenzio verboso a metà fra libellula e un granchio.
Adesso qui che è sera. La perversione del tutto è un soffio di vento. Io stessa perverto in un gioco carezzevole e essenziale. Vero quanto un poro del pavimento e un solo granello che riesce ad infilarsi. Dove tempo e usura hanno avuto la meglio.
Magari. Così. Per paranoia.
Magari così per una teoria sulla divisione dei silenzi. Sui livelli di coscienza. Sui coni e i bastoncelli. Sul quel continuo divenire della vista in percezione. Come di un fiume o di una vacua occasione. Come il tutto inventato. Come e il nulla. L'immagine e dove tutto è corrotto. Anche il pavimento. Il cielo. La frasca. La stupida certezza della sera, in un momento stupido della vita stupida di questa farsa di umanità.
Magari, così, per non dirlo a voce, quello che non ho detto. 

23. Il figlio era un violinista è caduto dal trattore, è morto. 
Pochi anni dopo è morto il marito. E' rimasta sola con le figlie femmine.
Poi è caduta lei. Si è alzata, è andata a fare la spesa, è caduta.
Si è alzata per pulire una macchia, è caduta.
Non esce più. Sposta i panni sui fili quattro volte al giorno man mano seguendo il sole.
Dice sono fortunata. Altri figli non hanno tempo ma le mie non mi lasciano mai sola.
La voce trema sotto i capelli bianchi intorno alla pelle liscia liscia ora che troppo vecchia ha dismesso il lutto e veste di azzurro tutt'uno con il cielo che quasi sfiora con le mani tutte grinze mentre barcolla spostando i panni.
24. Lungo il margine di un petalo profumato di arancione
Lungo il margine di un petalo profumato di bianco
Lungo lo spazio di un gelsomino
Il silenzio si tinge di molecole come di goccia
di macchia
di unguento goccia richiamo spoglio teorema dello spalancamento.
Aria e ginestra
Aria e argilla rossa
Aria e argilla bianca
Aria nell'aria della molecola del gelsomino
Lenzuola abbracciate ai fili
Mani di vecchia appese alle mollette
Una carezza spalanca gli occhi di un bambino
Declino e declino il verbo altro
La disposizione all'amore e' nello spalancamento
Declino e declino spalancare
L'alba timorosa affianca il profumo dei colori
Dove nessuno sa la fragilità di un gesto compiuto
Incapace di adagiarsi
25. E' un attimo. Il mondo non ha più nulla da dire. Parlano gli oggetti. Personaggi che oltrepassano le memorie, ritrovati zuppi di emozioni e passaggi e pezzi di storie e storia che non si sente più, come colla di una costruzione stabile che dovrebbe intessere un vissuto.
Parlano e il dialogo è con altri sensi. Il tatto, la vista, l'olfatto. Parlano ricordando quello che si ricorda più attraverso istanti come foto vive fra le mani.
E' un attimo. Accade. Accade la consapevolezza dell'attimo, degli oggetti, degli occhi sostituiti, delle piastrelle disegnate dal vapore, degli interstizi fra un macello e una valanga umana.
Composizione di frammento su frammento a sufficiente distanza dal tocco del dolore. Trasfigurazione iconoclasta di memorie raccolte così dall'oggetto.
Per inerzia. Per conservazione. Per il lavorio di sistemi neurologici sofisticati e tragici.
Stamattina erano i pettinini. Sotto la pioggia. Sotto la citta' bagnata. Sul palmo delle mani. Lungo il disegno delle dita. Ricordarmi di me che non ricordo. Ambulante con la casa in testa. Finestra aperta oltre le meningi. Storie di cortecce. Alberi fuori e stanze bianche dentro. Di quanto candore bisogna pulirsi per rimanere a galla nel mare fermo delle inutili passioni umane. Di quelle fragilità come congegni per colpire. Del passo claudicante per usare un bastone.
Quanta inutile guerra per paura della finitezza. Del caos. Dell' anarchia congenita degli uomini nati liberi. Con unico scopo un pretesto. Luce e reazione. Luce e salvazione.
Luce e senza. Quanti oggetti dovrò mangiare per quel senza che surclassa l'abbastanza.
Eppure, eppure sapere che dove è passata una guerra può passare una farfalla.
Volevo far parte. Non ho potuto. Non posso. Non potrò.
Dietro la disgregazione si nasconde il coraggio.
Vorrei morire nella prosa pura. E basta.
E così via.
26. Tutto muore
– Ho buttato la margherita
Nulla muore
Altro doveva
altro doveva divenire
tutto si trasforma
il tutto vano
il tutto niente
il tutto mollica
tranne il coraggio di portarsi addosso
la traccia asimmetrica di una lotta senza tregua
senza senso
senza direzione
tranne il coraggio di portarmi addosso l’abito l’ombra ed un fiore sfiorito
Se non il solo principio del divenire della morte in un nuovo principio
27. Il mattino riverbera nell’inconsistenza
la parola si sgretola come mollicuzze tenute
in sospeso fra la mano e il becco di un canarino

Comporsi di respiri e virgole
porta ogni significante all’insignificanza
di una persiana rotta in un giorno di arsura

Ogni goccia e ogni attimo accadono
nella fissità del chiodo che macella l’invisibile
ogni foglia è un sospiro piangente che cade al di qua
della meraviglia

Saper accadere stanca
è un atto estenuante
non si può mettere in vetrina il cedimento, la sgretolazione, la stonatura caustica di una coscienza che
sapendosi rompere è stanca di ricomporsi

Sono davvero poche le cose che si possono fare con la poesia
a meno di non riempire vasi di asfalto con fiori idrocarburici
patinati e plastificati di un nulla che si taglia a fette

Nella mancanza di reazione
nella guerriglia sui social
nello zittire quotidiano, regna la guerra
Per non sentirsi disarcionati dall’autenticità che non ha scopo se non l’autenticità stessa

Scrivere mi fa paura
e il sentimento è assai complesso
ci sono mondi in cui si vive nella paura senza aver paura
e mi muoio addosso nella loquacità di giorni tutti uguali
schiacciata dal margine dell’ovvio
dall’ignoranza delle donne
dalla carcassa delle lucciole cadute ai miei piedi
affondati nella rena friabile di una ragion d’essere
per metà umana per metà farfalla
chiusa in un labirinto sospetto
di fame e digiuno
voragini e cascate di fiori sempre vivi in mancanza di acqua
fra il dubbio e l’occasione di accadere nel nulla del senza niente

Fra il dubbio e l’incertezza
e l’inutilità del gesto quotidiano che mi strozza
nell’ovvio di una poesia mancata
arrestata, segregata nel posto in cui me è vastità
è oceano e giugno e lutto

E’ un gioco di assenze
dove la dimensione del tempo finisce e tutto diventa un luogo idoneo ad una transizione di stato
Uno stato del dove in cui il punto si appoggia
sul gesto fortuito della possibilità dell’impossibilità
nell’accadere dinamico di una bestia abbozzata

Siamo solo bozze di noi stessi
moncherini di coscienze azzardate
accadimenti perduti nel vuoto di un eterno ritorno
di assenze pre figurate in una vasca di surrealismi e di accidenti e di didascalie come lame disossatrici
per abiti abbandonati nella privazione dell’anima sottratta all’intelligenza

Eppure, nell’intelligenza regna il tutto del limite lungo una boscaglia di libellule canterine
appoggiate qua e là sul ramo del supplizio
specchio coeso e ghirlanda splendente di occasioni perdute nell’autenticità di un gesto morente un attimo prima di discernere l’accadere dall’accaduto

Quanto vuoto ancora dovrò attraversare
prima del verbo, prima del compiuto
prima che la testa cada in frantumi e finisca di girare immobile sul collo

Quanta poesia dovrà morire
quante volte dovrò appassire
quante garze arrotolarmi sul pianto rotto che mi lacera il dentro senza mai uscire
senza mai aprire quella botola per troppa delicatezza per chi piange dall’altra parte

Per gli interpreti che si caricano di ormoni
eppure incapaci di cogliere senso e traversare di anime inconsistenti e biglie di opposti
che rotolano lungo il viale della follia
sospinti verso un buco quantico
da scariche di cortisolo, adrenalina e lo scalpitare di una giumenta stanca arrivata sull’orlo del mare
sull’orlo del tramonto
sull’orlo della libertitudine

sull’urlo della violenza
sulla manipolazione dei sensi e della musica
tutta raggomitolata fra la fragilità dell’essere e la debolezza dell’umano

Stendere ossa di coscienza
portarsi al mercato
fare la spesa fra colori sgargianti e il rumore del traffico che non cessa mai
neanche di notte
neanche all’alba
si scivola sull’asfalto bagnato, se solo piovesse.

Quanta erba dovrò ancora mangiare
prima di tornare a brucare un angolo di cielo
sola, così come sono
metà bestia metà farfalla
frattale di infinite intenzioni affastellata
al margine del sole
splendida controvento
capace di comprendere l’incomprensibile eppure fiume annegato nell’incapacità di farmi comprendere

Si millanta libertà
si ottiene solo una forchetta ben infilata nell’avambraccio

Si millanta, si ostenta, si blinda la spina per il gusto dell’irraggiungibilità
covando trincee di terracotta per dire forza
per dire coraggio, per gli allergici agli abbracci
ai viaggi, alle riconciliazioni

Si mastica ancora il dolore di Amelia Rosselli
onniscienti, critici, padroni della convinzione di sapere di sapere
mi chiedo in quanti sarebbero capaci di masticare il dolore di quelle vive
di quelle vestite di riserbo per il male che ghettizza e isola

Per voi che non sapete cosa sia la giostra della follia, il dolore della consapevolezza, il peso dell’abbandono e dell’etichetta

Dubito che sposereste mai una donna schizofrenica
una divisa su tre livelli di coscienza
e non la lavereste mai quando il dolore rende impossibile da sollevare anche una semplice saponetta
Quando la doccia fa paura solo perché è una cabina chiusa e l’acqua soffoca e la schiuma brucia

Quando sei solo carne cruda esposta al sole
quando bruci per l’ignoranza
quando il mondo si muove ed è solo una marionetta

C’è un orrore più sottile dell’orrore
la certezza del sapere
la guerra umana di chi ha perso il senso del nessuno
pur di arroccare dietro la comoda idea di un qualcuno

C’è un orrore più sottile della guerra
la partecipazione falsa
la trincea di un comodo salotto e la coscienza protetta dai cuscini del divano

Si amano le carcasse, i cimiteri, chi fu e ciò che è stato e così si inganna l’incapacità di vivere nel dolore presente.

Nulla vale la mischia
nulla vale l’ignoranza
per chi sa che un abbraccio non si elemosina e l’affanno non è dei muli
ma un affare dell’essere una donna


E così la parola si schianta
il linguaggio si sgretola
l’isolamento diventa mania

Certa che l’autenticità valga più di un’arma
che spesso ammazza ma non lo fa apposta

Non lo ha mai fatto apposta

Voleva solo esistere,
musica sul palmo di una mano blu cobalto
28. C'è un tempo per tutto. Ma questo è un vizio linguistico. 
C'è uno spazio per tutto quando lo spazio finisce e l'oltre - si comincia a intendere - spuma bianca di un oceano pensile.
Nella sciupatura ardita è la mescolanza fra il non detto, il non dicibile, il silenzio che non vuole
se non covare stelle
primordi abortiti dal nero, fessura su fessura inciampare per risalire aloni senza pendenza, o inclinazione, o

Eppure la risacca riporta in mare il riflesso delle stelle e le lucciole d'acqua piana echeggiano schegge lampiformi di conifere assolutamente tali
Assolutamente nulli
in verso abbandonato su lingua intinta nel blu cobalto la matematica non euclidea dell'autentico
stagliato fra l'incanto e la risonanza e tetti di vetro, azzardi per quattro stracci
in prima battuta sulla rena sottile di un tramonto d'autunno

La brezza sfarfalla profumi d'impatto e contro tempi di arguzie amaranto esplose sul silenzio soave di un cielo incantato di meraviglia e morte
Non dire mai la parola che non sai dire
Scalare piuttosto pareti lisce lungo la schiena invertebrata di un monte analogo

Nel cielo degli altri
alberga me stessa eterea sollecitudine di ragioni pure, svolazzamenti, follie espanse in mondi di commistioni e commozioni
Oltre l'oltre che svanisce sul braccio corto di una biscroma

E' tutto bianco stamane in un risveglio senza fretta
[....]
29. Dovrei dire,
delle lucciole e dei morsi di zanzara. Delle zolle e della frana.
Della radice strappata, della cecità, della sordità, del suo andare sotto e sempre più sotto, fino a radicarsi nell'acqua.

Degli acquazzoni e dei davanzali. Delle corde stonate. Delle gole mute. Delle angurie con i baffi. Dei nani. Dell'obesità di certi anoressici.
Del rosso del semaforo e di quello dei polsi. Delle unghie incarnite e dei ghiaccioli sciolti al sole.

Del profumo dei vestiti. Degli olivi. Del distacco e dell'assenza.
Delle piantagioni di girasole. Delle nuvole rosa. Della salsedine sulla pelle. Dei cannibali. Dei bigotti. Delle stelle accarezzate. Dei serpenti. Delle orme sulla sabbia. Delle scale tutte rotte. Delle calze sfilate.
Degli aghi, delle coccinelle e dei bastoncini di cannella.

Di quanto il tocco non mi tocchi. Di quanto la neve sia calda. Del non sentire. Del non respirare. Dei capelli caduti. Della ragione caduta. Delle emozioni cadute. Dei pavimenti rotti con gli occhi rotti. Della ridondanza. Della gioia di un cassetto. Della naftalina. Dell'occhio morto di mia nonna. Dei crocefissi. Del cuore di Gesù.

Eppure, nulla è tutto e nessuna parola vale
Ogni tanto qualcosa sa aprire. Gli occhi si inumidiscono e mi ricordano che posso ancora lacrimare.
                                                                    

30. Sedute in tre ad un tavolo per cinque. Uno spazio per le borse e uno per i morti. La cameriera ha il mento allungato e dietro le labbra le mancano i denti. I locali sono angusti. Al piano di sopra d'inverno non si apparecchia. Il calore é uno spazio breve per un tratto di consolazione. Amando per non impazzire, si cade nell'amore.
E il vento! Il vento!
Non smette mai di piovere fiori di acacia e di lacrime di frumento.
In questo dondolante, imperturbabile sud che segna e prega e tinge Guerra che porta in grembo bellezza. Si bacia il mare pur di toccare il cielo
31. Bianco

Poi forse non ti scriverò mai più.
O forse sarà
l'inizio di una nuova scrittura
in quell'altro fuori da me sul pavimento di una città che piange.
Se mi quietassi temerei la morte.
Dovrai lanciarmi in cielo come uno sputo di coriandoli
e fare di un'anuria una cometa.
Forse lo stai già facendo ed io ho solo paura
della solitudine delle stelle