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Lettera

Mio amato nulla, mio caro vuoto,

Da giorni piango come un'orchidea. Le radici sono troppo bagnate dal lamento dell'ignoranza, da un silenzio parassitante.
Gli occhi allora sudano. Si rigonfiano come baccelli sotto un sole troppo lucente.
Le lacrime nascono e restano prigioniere nell'ampolla. Non cadono mai. Non muoiono mai.
Fuori la citta' e' tagliata da un vento gelido e i fiori impazziscono un po' per volta
Prima che la corda del clavicembalo strozzasse la stonatura sapevo essermi nel non esserci. Sapevo esistermi. Sapevo nell'ignoto di un carezzevole languore.
Dammi ora la capacita' di piangere, liberami da quest'io soffocante, aiutami a declinarmi nelle infinite variazioni di una terza persona plurale, a ripulire l'angoscia dalla costipazione, a suicidarmi quotidianamente per ritrovare la grazia della scucitura che unisce all'infinito l'occhio all'udito, la parola alla follia.
Ritornami all'odore del grano, alla musica dell'erba bagnata, a tutto quello che non ho mai sentito ma vibrava e mi faceva essere fra la maceria umana una terrazza d'amore imbestialito, di terrore fiorito, di coraggio ingenuo e lancinante, dipinto senza attributi e senza.

(Alla musica) 
Ci sono posti vecchi come la polvere. Vecchi prima di nascere. Teste, pensieri, retroculture e retrovie, sacrestie e tanti santi.
La sottile venatura fra un uomo e un animale, resta in sospeso così fra un qualcosa di ancestrale e un punto e virgola..
Giorni difficili di reminiscenze frammentarie, malinconia spicciola, da due gocce per strada, di pensieri bui e luce da chiudere in bocca. Luce ambigua, incatturabile, in una strizzatura un po' così come le mie cose così, e questo gettarmi come quando cerco di fischiare con le dita o quando schizzo e basta.
E così, tutto un po' così di sguincio, strappi, rendicontazioni, umanità a tutto spiano, tre notti con la pancia in mano, quando si fa sesso i parametri di un orgasmo sono più o meno gli stessi di un infarto, al concepimento siamo tutte femmine, solo successivamente un embrione diventerà un maschio.
Riflessioni così, in giorni così che all'ufficio postale ci chiedono se siamo sorelle e noi ridiamo e poi andiamo in banca e ti sembra strano che siamo vive e ridiamo.
Ed ecco, ci sono giorni un po' così a voler essere una donna che gira con un assorbente con le ali e i buchi a nido d'ape e mi odio abbastanza perché quelli con i buchi d'ape hanno i profumi e puzzano poi tutt'uno con il sangue; quelli di pochi cent, roba da poveri non profumano e io le api le ho in vivo dentro le mutande ma ad ogni buon conto, una digressione che avrei potuto tagliare, magari poi diventa un capolavoro, lasciamo il mascara sciolto intorno agli occhi stasera, e fra tutta questa roba lo spillo è lì immobile.

[...] È già tutto uno spillo.
Piccolo piccolo stretto stretto per farlo entrare tutto quanto. Lo spillo. Poi abbiamo imparato ad andare sui tacchi. Poi. E resti così, tacchi a terra, seduta sul divano, pancia in mano per questa grande ira che ci siamo inventate, amore che non sappiamo completamente inventato, capiente, caparbio:- Rivolta, l’evasione più intelligente:- testa, in una sola azione:- stranezza, cosa inventata, cosa posticcia, bava sulla bocca di tutti, la spina di Gesù anche quest'anno che mia nonna si è scordata pure Gesù, in giornate un po' così come un'idiota tu e il divano così la vita tutta si arrotola in una maledetta rivolta, una stupida intifada così per ingenuità per difendersi per scalare pareti lisce per abbandonare la memoria per fare e basta in certe vite di rabbia fiorita,

per difendersi.

[…] E della leggerezza blanda di certe ragazze così passanti per caso così per caso fino al silenzio più assoluto. Solo un caso di intelligenze raccolte in uno spillo, solo un caso la rivolta e solo un caso aver chiamato amore la ribellione.

(Per D.)
Io e il sole e il vento in una Roma sgranata. Così fra lucciole che vedo ma che non ci sono. E' sempre tutto routinario e nuovo. Ogni singolo istante nella superbia della luce che graffia i vetri quotidiani, la sporcizia che si annida fra gli infissi e gli animi. Un silenzio profondo che mi allontana da un armistizio con gli altri e me stessa che stenta ad arrivare. 
La passione come una mucca stanca della mungitura. Ci sono mattine in cui mi sembra di non esser mai esistita e una voce afona mi afferra le caviglie verso una poesia che non vedo più, le mani graffiate dal freddo, i muscoli dolenti per le botte dei bambini e la fioritura di un sottobosco in una parte lontana e improbabile di me. Tutto molto vuoto. Tutto troppo pieno.

(Per Alberto)
Gli ulivi muoiono perché Giudo è morto

Il discorso diretto non lo parlo più di parole aperte sull'uscio del mondo si intessono travi di nulla e metaorrori metalinguistici per dire niente e solitudine

Il vento abbraccia il quartiere periferico e sfila la puzza di macchine sul finire di giornate svuotanti cariche di echi, bellezza acerba di bambini poeti ingenui senza saperlo e di nocche indurite dai calli per il troppo sbatterle sui denti e sui tavoli.

Svuotato il dentro resta l'uscio del poi in un presente fermo moltiplicato per ogni angolo di abbandono.

Ho avuto paura della delicatezza e ora ho sempre gli occhi pieni di lacrime che solo io vedo e il mai dell'inquietudine mi porta a schivare l'elemento umano. La forma non ha mai suscitato il mio interesse e più che mai rotta incede verso un qualcosa che ho e non voglio far uscire. Solo la distanza mi avvicina. Ad un qualcosa di lontano che deforma le fattezze di donna e se non sono spuma, non sono neanche sillaba.
Qualcosa di quanto in quanto mi colpisce o mi tocca dipende dall'inclinazione della luce sul cuscino di una pace che non ho ma che mi sta dentro.

Gli olmi muoiono, Giudo è morto, molti sono morti, anche i morti.
Indugio sulla soglia della fascinazione non ho più nulla da dire poco da sentire, non so dove il mare si riposi certo sotto i miei piedi tutto è liquido e nel disfarmi trovo una tregua e nelle tue parole un qualcosa che non conosco ma so

Il profumo delle balle di fieno arriva fin qui fino alla fine della giornata, della punta della matita, dell'iperattività che mi trivella il cervello, solcando le pareti più lontane dei pensieri scollati dal resto di tutto, dal resto di un resto che non sarà mai reso.

(E) la poesia ci accompagna orma trasfigurata sullo stesso selciato.

(Per Nicola, nel verso del mare)

Momenti. Istanti. Ricordi. Frammenti. Strade sovrapposte. Strade parallele. Strade deserte. Sbandamenti. Sequenze logiche. Sequenze sceniche. Vite in sequenze distorte. Vite approssimate. Donne. Piccole donne in età di bambina. Sole. Giochi. I primi amori. I primi denti. Le cadute con i pattini. Le cabine telefoniche. Le frane. Le frane di terra sugli smottamenti umani. Le mafie. I preti. Le chiese. Le questue. Le statue portate in braccio con i piedi scalzi e i capelli sciolti. Le vecchie una volta all'anno sciolgono i capelli. Dimenticare. Scordare mai. Tracce di esistenze sopravvissute. Tracce di selciati mal capitati. Sogni partoriti nell'ignoranza. I libri. Le prime scritture. I racconti a quattro mani. Le risate a crepapelle. Tante lacrime, ma non per tutte. 
La casetta. I ricoveri protetti. Le amiche sempre insieme. Il bagno per truccarsi. La prima ceretta. Le prime sigarette. L'aria bella del mattino. L'aria bella della notte.
L'aria verde, gialla e rossa.
Qualcosa di stipato e alto nel basso dell'incidente umano aumentava lo spazio per il volo. Piccole. Sagge. Legate. Ammansite. Ammaestrate.
Eppure sul ciglio della strada albergava più grande lo stupore. Di nuvole e vapore. Di allegrie dilaganti. Occhi come finestre, appese le gemme al davanzale. Guardare giù per la via della meraviglia. Cosa piccola, minuta, incosciente. Nella campagna intorno al vecchio macello le lucciole incoccavano bellezza. Il verbo vivere stringeva la catenella al collo. Credevamo fossero perle. Sebbene l'eleganza allungasse una carezza su un tramonto tutto rotto, le foglie non bastavano a cavar il filo per la cucitura
A furia di cadere. A furia di rialzarsi. La cosa felice alberga in basso. Noi lo sappiamo e lo taciamo.
Stupore e consunzione crescono sullo stesso ramo.

(Per Simona e Tita, nel sempre del senza)