I
1. Diventa impossibile non retrocedere Non ritrovarmi attonita – unica e molteplice – sulla soglia di numerose porte. L’incontrollabilità dell’innesco. L’iperbole. L’evoluzione. L’evento che contiene tutti gli eventi. C’è. Accade. Torna sterile rimanere inorriditi di fronte agli esiti e ai risultati. Se fossi esattamente quella che scrive sarei una macchina perfetta. Il tempo non esiste – e’ uno dei cavilli epistemologici che lei cerca di disfare. E ci prova operazionalizzando il vivere in funzione dell’esistere. Io non so vivere. Manco di un nucleo fermo e compatto intorno ad un’unica regola. Priva di un’identità univoca e stabile, mi compongo di frammenti probabilistici. Di unità discrete che si pongono in soluzione di continuità in uno spazio ideale in cui tutto e’ vissuto senza l’ausilio del sentire. Sono sorda. Lei avverte. La sua è una ricostruzione vettoriale del mondo sensibile in cui, al culmine del simbolismo, l’austerità del formale si sgretola in dimensioni infinitamente piccole. La dissoluzione della compattezza dei concetti è il primo e l’ultimo passo di un’equazione non lineare. Se il tempo non esiste, se quello che conta è l’ologramma infinitesimale di se stessi se l’esistere è un agente simbolico, e l’identità – almeno in alcuni – una dimensione mobile e vischiosa, l’umanità perde la sua connotazione morale a vantaggio dell’estetica dell’osmosi. Se il tempo non esiste, inutile soffermarsi ancora sulla porta. Io sono il prima. La mano che la apre e il dopo. La prassi che dovrà ricondurmi a quell’essere razionale ed empatico in grado di costruire l’ordine senza subirlo. Senza farne indigestione o reazione virale.
2. Scrivere per tramortire il silenzio. Mettergli una mano sulla bocca e impedirgli di respirare. Per un attimo. Un solo attimo necessario per soffocare il silenzio e appiattire il sentire sotto la soglia dei due microvolt. E sarà come fosse mattina in riva al mare. La luce, il riverbero e il fondale. Ad ogni moto dell’onda una epifania di forme:- perturbazioni lineari:- geometria della risacca. E sarà come per dar forma al nulla per configurare il vuoto. Elevazione al cubo di rose e di lillà. Percepire. Concepire. Trasfigurare il nulla per ricavarne l’impressione del niente. La danza dervisha di un paralitico. La Vanità delle Vanità. L’ipotesi genetica del precipizio di Gabriele. Scrivere per rendere verosimile tutto questo, subito dopo aver piantato una rosa. Per ricominciare. Forse. Per soffrire. Forse. Per cercarmi. Forse. Ancora una volta, nella forma esatta di questo dolore. Per esistere. Forse. Ma, l’esistenza è tanta. E paradossale. Tanto quanto l’estensione dell’universo richiuso nella formula chimica di una lacrima. Tanto quanto il peso di una stella implosa. È fredda l’aria. È freddo il mattone. È fredda la distanza che separa il dubbio dall’intercapedine. La costola da Adamo. L’autoconservazione da Isacco. La solitudine del mondo si attacca al viso come il rigurgito di un bambino. E la vendico crepandomi gli occhi. E la odio e la vomito sputando fiori.
3. Le ali di un cervello sono metalliche. Questo abbaglia. Impedisce agli occhi di entrare negli occhi e nessuno si esime mai dall'accusa di durezza. Duro non è il mio cuore. Non ho un cuore, solo una testa piena di intercapedini che accolgono l'essere e lo rendono umano. Duro è lo spigolo contro cui la lacrima sbatte. Sempre e continuamente. C'e' sempre un dito puntato una critica arguta un sorriso azzardato a ferirmi lì dove non ho pareti.
4. Se potessi aprirmi da qualche parte mi caverei l'Io da dentro. Con l'Io l'opinione. Zinnie e ginestra sarebbe un buco estatico, senza la fatica dell'abisso quotidiano.
5. Il vivere che bivacca su un divano di negazioni l'esistere nella polvere sotto le poltrone. So le ferite So gli occhi Sono il cucchiaio che scava il latte dalle ossa la proporzione fra me e il resto di me fra l'assenza e la mano l'aria e la morte La parola e l'unica soluzione
6. Siamo in tre - la terza è una parentesi senza galleggiante mi riporta indietro non immagini o suoni o tatto o olfatto. Colori ed evaporazioni che emergono da qualcosa di carnoso l’impressione è che siano figli delle viscere che escano fuori esattamente dal basso ventre. Devo per forza pensare che al limite questo qualcosa di molto carnoso sia la sostanza cerebrale. Una parte di me dondola su una spuma giallo tramonto e una nuova flora e fauna a disegnare un mondo che conosco perché è già avvenuto e che ora è appunto una parentesi che mi tiene in sospensione dove sono davvero finite le parole. Nulla è così concreto da poterlo conoscere o nominare. Penso senza pensare che sia meglio non sentire
7. Mi lascio trascinare nel vuoto mentre mi trascino nel vuoto (il) trascinarmi gonfia un’ampolla lontana una impressione di calore Immaginata così tanto e impercettibilmente che io stessa non me ne accorgo Intuizione e epidermide calore nell’unicità del niente gonfia e friziona da qualche parte il vuoto e la polifonia di una immagine iper-modulare - in un silenzio che solo io e le stelle sappiamo calore che brilla la sostanza della carne poetica dell’acidula carne cerebrale Sono così dentro la soglia Altrove di cerebralità che tutto diventa brutalmente carnale e mentre precipito in un vuoto senza profondità - nel silenzio che solo io e le stelle sappiamo Andarmene dove nulla è norma e Oltre che è tale sublimazione di coscienza fino a diventare Altrove nell’unione di due aspetti o mondi o stati - il mio Altrove e la facciata di tutti i giorni – la vita (vera) nella morte – - la pianta e l’anima millenaria della quercia - calda carne in cui si scioglie il non sentire – è nella natura della goccia la mano della mente E’ l’unico tocco quasi intendendo tatto che riesco a sentire - la tensione – l’anello di mezzo fra la violenza e l’amore Un posto quantico dove qualcosa di più piccolo delle punte che hanno inciso i rotoli del mar Morto riscalda ed è solo tessuto neurale e lo riscalda così tanto che poi il sangue cola giù Liquida nel mentre precipito nel vuoto
8. Fino a quando avrò un posto remoto nell’ anima in cui confinarmi nella sconfinatezza, potrò sovvertere. Dove si trova l'anima? Dappertutto.
9. I fuochi d’artificio giocano a freccette contro il cielo resta la paura delle emozioni forti Strana ridondanza la terra strana percezione pelle vuota senza mai un abbraccio I fuochi d’artificio disegnano il cielo gioia schietta piccola forza senza mai un abbraccio nella carne cruda della sordità cruda Un treno arriva sotto la pioggia fuggire via
10. Piove, piove e da qualche parte frana tutto. Piove sulle certezze dei poveri di spirito e dei mentecatti. Piove sulle contraddizioni e le ipocrisie. Qui nel paese dei fiori con il vento mio fedele che sferza fra i rami degli alberi, le persiane che ho dovuto legare e gli animi dei giardini bagnati e della cavalletta che da qualche altro mondo mi ha raggiunta, per cristallizzarsi immobile nella sua corazza dura che perde piano piano il verde vivo per acquistare un colore vicino al verde olio posato sul fondo di una bottiglia. E rido, di incertezze diffuse, concetti aberranti, distorsioni morali che mi atterriscono e dovranno pur smettere di atterrirmi i soliloqui fatui sulle incongruenze spastiche di dilemmi enormi e una morale che soffoca la coincidenza più alta degli occhi umani e di tutte le verità profonde che si celano dietro la quotidiana ipocrisia della mediocrità. Credo possa pensarsi una conseguenza - ridere. Attraverso il vapore del the, che attraversa il fumo di una sigaretta, che attraversa i buchi stretti della zanzariera, che accarezza la nebbia, che si lascia attraversare dal vento, che attraversa me senza toccarmi e mi fa ridere. Quanta delicatezza nella misura e nel contegno. Nella paura di parlare troppo forte. Nell'insicurezza di non essere abbastanza.
11.C’è un'eleganza tipica di chi il dolore l'ha perseguito per divorarlo poco alla volta, man mano che arriva per aggredire. Di chi costruisce abiti cuciti con l'accadente accanimento del non senso della sofferenza per poi indossarlo il dolore, senza maschera ma nel manifestarsi altero del silenzio. Un segreto per pochi. Un segreto per gli occhi.
12. La malinconia dissipa e incoraggia l'anima tutta. L'anima mia. Porta. Finestra. Scoglio. Sottrazione e cranio. Sottrazione e meningi. Balbetta la parola. Tremula incertezza. Fragranza e poltiglia. Disgregazione e disgregazione. Il pentagramma farfuglia. Se mi dimentico di accadere, vivo. Se vivo muoio. Vivere è affare bislacco. Accadere. Porta. Finestra. Cellula. Plasma:- il sangue sottratto ai fattori piastrinici. La malinconia coagula e dissipa un soffio. E non so se sia l'anima mia. Non so. Non ho mai saputo.
13. Si paga due volte lo specchio e il riflesso dell'albero il vento e la scapigliatura La consapevolezza in un istante Eppure, dove è passata una lacrima può passare una lucciola
14. Apro celle. Apro stanze. Sposto l'invisibile sul visibile. Presto il mio cervello in cambio di un bambino che smette di piangere. La gente spesso mi bacia le mani, mi assicura che sarò benedetta nelle loro preghiere. Molto più spesso mi guarda come se fossi pazza. Fra due invisibilità, la trasparente sono io. Lascio e perdo pezzi di me e questo non ha importanza. Né gioia. Né speranza. Ogni tanto si alza il vento e gli sono grata. Ritorno solida.
15. La mia psiche tangibile è uno scudo contro il suono duro (alienante) ogni tanto un sasso, una vertebra, un albero, un occhio-scheggia ogni tanto attraversano la barriera, ospite unico in un circuito pervertente I ponti di parole li ho fatti saltare uno per uno Vengano a prendermi dove è rimasto solo l’odore Pervertire l’adiacenza è l’ultimo arco infuocato prima del silenzio
16. L’acqua della doccia per far cadere tutto in un buco Una parola resta attaccata C’è un silenzio al neon rattoppato da qualche parte per tutta l’estensione della parola ingenuità
17. L’ultima parte quella più prossimale alla Distanza è il mio corpo
18. [...] prima che mi dimenticassi il corpo prima che, nuovamente Scrivi semplice scrivi come Éluard Tu non sai - quando scrivo frammento sono un frammento Scrivi semplice il tuo corpo la parola dimensiona il tempo e lo rende reale Le donne partoriscono io posso solo far passare fra frammento e tormento Per scrivere bene mi serve una matita numero 3 ma chi non ha a volte gioca a volte ruba Intelligente è la lacrima variopinta la via lattea
19. Viene a mancare il coraggio di affidarmi alla luce cammino consueto, carne consueta, salvazione attimo dopo attimo cielo sopra cielo fame per fame - stupore come di labbra Viene a mancarmi il coraggio di continuare a darle la mia vita e dunque mi odio incapace di sostanziarmi, bisognosa della luce.
20. Ho ammazzato un'erica mentre il pensiero si stacca come carta da parati, dal cervello. Nulla passa oltre il varco del non sentire nulla. Se non il nulla piatto del vuoto a una sola dimensione.
21. E sposto di un millimetro e sposto di un millimetro e sposto di un millimetro E a furia di spostare di un millimetro muovere per distanze di universo, così lontane diventare inafferrabile Dove ape è farfalla farfalla è ape le formiche camminano sul dorso e la goccia resta appesa al rubinetto Quanta ingenuità nella certezza della distruzione quanta ingenuità nel silenzio che ancora ronza, e forse parla Quanta forza nel blateramento quanta grazia nell'uncino che cuce con pazienza comprensione su comprensione Fin dove la testa si spacca non resta neanche il perimetro solo disconnessione e vola via e vola via

22. C'è qualcosa di scontato e di antico nel dolore e bisogna tenerli saldati insieme per scordarlo, vivendolo Più doloroso del dolore è instupidire, scontandolo Staccata dal ramo la foglia è in balia di se stessa o del vento
23. Ci sono giornate in cui vorrei essere un albero. Decorare il cielo e accogliere un uccello sul ramo più alto. Lascerei così lo spoglio umano ai miei piedi e con le radici potrei affondare nel calore della terra. Potrei mangiarla e sentire la coccinella passeggiare lungo una delle rughe della corteccia. Ci sono giornate in cui mi sento un albero. Costretta ad essere impassibile quando raggiungo l'altra metà della terra con i malati, gli schiaffi, le botte, la frustrazione e il dubbio che spacca in frantumi una coscienza che non sono più certa di avere e non sono più certa che possa essere porto franco e mongolfiera per un' elevazione che non sono più certa sia un salto dell'evoluzione e non un errore. Dovrei cedere il mio posto ad una bambina in rosa magro che gioca a tenersi in bilico per mangiare un gelato. La sorella in rosa più grande la trattiene per un braccio ma lei si divincola o non potrà finire il gelato. Resto seduta. Le guardo cercando di persuadermi che il vuoto pesa più di una gentilezza. Da tanto non capitava che qualcuno cominciasse a baciarmi la fronte dicendomi che sono un angelo. Io non sono. Vado. Fra la parola e la parola mi proteggo mentre mi espongo ramo che mai sarò, impossibilitata dalla coscienza. Rimpicciolita dall'attenzione.
Forse essere donna Andare camminando il silenzio scalza attraverso sciami di bocche che si oppongono alla strada Con le ossa piegate mano nella mano di un cristo di vetro e gli occhi totali puntati in alto a ricucire le stelle. Perdurare. In solitudine. In questa solitudine ostinata a non lasciarmi con il piede leggìero che batte un pavimento blu cobalto e sotto la sua trasparenza tutte le pupille del mondo che inseguono il mio calcagno. Tocco. Farmi toccare le meningi da una carezza d'acciaio o forse, magari:- anche:- ancora dal moto rotondo di un rosario impigliato sul ginocchio smagliato con tutto l'intorno pieno zuppo di una televisione che piange sul vomito di un nano curvo sotto la mia finestra. Stare. Semplicemente stare come mi sta dentro il possesso di questo fiore quando l'estate mi sporco tutt'uno con la polvere ed i piedi in fine alla giornata segnati da filatteri di rena nera. Mi lascio. Inondata da un plenilunio di biglie e d'opposti in cui si risolve l'essere del mio essere donna Un morso continuo e fermo nella presa che torturandomi mi glorifica.
24. Una farfalla. Un bicchiere. Una mano. Non muovere la mano. La mano si è mossa.
Identità.
Una pianta. Un barattolo. Non muovere l'acqua. L'acqua si è mossa.
Radice sull'ombra versata.
Identità.
25. [...] La mia casa è li, in un labirintico silenzio, dove nessuno passa ma tutti esistono, nella musica delle cose che non cadono vibrando di luce pura.
26. Finirà un giorno di soprassalto l'assalimento e giudizio grondante emula supplizi poco inclini sul declivio del sole che gratta scorza di vento allucinata sul corpo velo invisibile spicciolo guazzabuglio violato ogni andito evapora la spuma e la congiunzione fluire lungo il braccio che fa più male corresse corrotto il lancio e il laccio slega frammento e liquame finirà un giorno ogni legatura il corpo sparisce sparito partito perito, se. Se in pianto si sciogliesse la neve il corpo spuntato siepe di trifoglio il pensiero si scolla sulla crepatura scollato l'avambraccio se i denti si potessero tenere in tasca le anche tremerebbero onda vibra sul corpo scomparso finirà un giorno l'aratro del sul invisibile corpo lontano se sul budello sfiorito nella prima incrinatura di uno spillo l'impostura finirà un giorno la voce appena sfiorata in gemmatura di marinai zitta la voce se il filo del sole quando il corpo manca quando tutto manca la morte sovrasta il compiacimento se tutto questo un giorno finirà perdere con il corpo la memoria delle memorie.
La mente mente sulla sobrietà della menzogna.
Tema.
Traccia.
Svolgimento.